LUCREZIA – “Qualche metro di distanza dalla “Nardina” c’era una casa allungata dove abitavano due famiglie. Nella prima c’erano i Capodagli ed anche loro avevano un soprannome che era Madori.
Ricordo un’anziana madre vedova, allora erano in tante senza marito a causa, soprattutto, della guerra del 1915-‘18 in cui morirono tanti giovani, mariti e padri.
Aveva un solo figlio di nome Giuseppe ma tutti lo chiamavano Peppino, era sposato con Renza. Avevano messo al mondo una nidiata di figlioli, credo sei, tutte femmine.
Peppino di mestiere faceva l’idraulico; come la maggior parte degli artigiani viveva in condivisione con i contadini. Le nuove costruzioni erano molto rare e quando accadeva per l’idraulico c’era ben poco d fare perché all’interno delle abitazioni non c’erano i servizi igienici, niente acqua corrente, né energia elettrica.
Ecco perché questo rapporto stretto tra artigiani (idraulici, calzolai, sarti): ogni servizio veniva pagato in natura con grano, granoturco, uva, legna e verdure. Insieme si riusciva così a vivere.
Ricordo Peppino un uomo piccolo di statura, capelli neri impomatati di brillantina solida, come si usava allora, era un buon marito e padre.
L’unico divertimento che si concedeva era la domenica pomeriggio quando andava al bar della Peppa dove giocava a ramino, a scala quaranta. I suoi compagni di gioco erano il maresciallo Serra, Otello Chiappa e Fortunato Bargnesi.
Renza, la sua sposa, faceva la ricamatrice. Aveva un piccolo laboratorio al piano terreno e, soprattutto in inverno, trascorreva giornate a casa dei contadini a preparare il corredo con tanti ricami.
La loro figlia più grande Cesarina era amica delle mie sorelle. Era carina e simpatica ed iniziò molto presto il lavoro di sarta. Le altre sorelle le ho solo conosciute di vista.
Termino il racconto di questa famiglia ricordando un triste episodio che avvenne agli inizi degli anni ’50.
Era un giorno di novembre, un pomeriggio grigio. Il trasporto delle merci stava lentamente cambiando passando dai carrettieri agli autotreni.
Un camion con rimorchio che transitava sulla strada Flaminia, all’altezza del Viale della Stazione, perse il controllo ed invase la corsia opposta.
In quel momento sopraggiungeva una Fiat Giardinetta. Ci fu un grosso scontro e le due persone a bordo dell’auto morirono sul colpo mentre l’autotreno continuò la sua corsa impazzita finendo dentro la cucina dei Capodagli.
Crollò l’intero solaio di casa e morirono anche i due autisti. Rimase solo un piccolo pezzo di soffitto che corrispondeva ad una cameretta.
Fortunatamente in quel momento in cucina non c’era nessuno ma in quella piccola cameretta al primo piano c’era la culla dell’ultima figlia nata.
Tutti pensarono che la bimba fosse morta nell’impatto. Ma ad un tratto sentirono il pianto della piccola. La mamma Renza cominciò ad urlare. E grazie ad una piccola scaletta a pioli recuperarono la bambina al primo piano.
Sono stato sempre convinto che si fosse trattato di un vero e proprio miracolo della Madonna che tanto Renza pregava!”
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