Il pianeta terra muore mentre la politica dorme
E’ scaduto il tempo della delega in bianco, ognuno per le sue possibilità deve assumersi la propria resposabilità, anche nei nostri piccoli territori locali.
E’ di qualche giorno fa l’appello del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che ha chiesto alla comunità internazionale di dichiarare “lo stato di emergenza climatica”.
A cinque anni dagli accordi di Parigi in cui i paesi si sono impegnati a contenere l’aumento del riscaldamento climatico entro il grado e mezzo, la realtà appare completamente diversa.
Ai ritmi attuali si sta andando verso un aumento di oltre 3 gradi nel nostro secolo. Praticamente un disastro annunciato.
L’ONU, attraverso l’Agenda 2030, ha fissato per l’anno 2030 il limite temporale entro cui rispettare questo ambizioso progetto. Per mantenere tale obiettivo occorre ridurre da subito le emissioni del 45%.
«I paesi del G20 stanno spendendo il 50% in più nei loro “pacchetti di salvataggio” su settori legati ai combustibili fossili piuttosto che su energie a basse emissioni di carbonio – ha sottolineato ancora Guterres – Questo è inaccettabile. Non possiamo usare queste risorse per bloccare politiche che gravano sulle generazioni future con una montagna di debiti su un pianeta distrutto».
LA SALUTE DEL PIANETA RIGUARDA TUTTI, NESSUNO ESCLUSO
C’è una strana tendenza generalizzata allo scarica barile a cui assistiamo quotidiamente. Siamo informati sui disastri causati dal cambiamento climatico (morti, disastri naturali, dissesto del territorio, siccità) eppure sembra che questi eventi catastrofici debbano sempre toccare gli altri e non noi.
Lo hanno capito i giovani di Fridays For Future ai quali lasceremo un pianeta peggiore di quello che abbiamo trovato e ciò non fa onore alle generazioni che li hanno preceduti. Lo dimostra il fatto che, ancora oggi, questi giovani sono più determinati che mai a chiedere un cambio di rotta sulle politiche ambientali.
Lo ha capito la giovane svedese Greta Thunberg, diventata un simbolo, derisa da molti per le sue azioni dimostrative. In realtà dovrebbero gli adulti stessi vergognarsi di ricevere lezioni di vita da giovani che gridano la disperazione del momento e che gli stessi adulti, seduti nei loro agi, non comprendono.
Lo ha capito il Papa con due encicliche, “Laudato si’” e “Fratelli tutti”, documenti che, in fondo, sono due trattati politici, rivolti a tutti gli uomini di buona volontà, cattolici e non. Nella prima, Francesco parla della terra come unica nostra casa che non ci possiamo permettere di distruggere. Nella seconda enciclica, il Papa aggiunge che gli abitanti della terra si possono salvare solamente insieme perché “nessuno di salva da solo”.
A questo proposito ci voleva un virus invisibile a ricordarci tutta la fragilità dell’essere umano e allo stesso tempo che la distruzione dell’ambiente ha effetti diretti sulla vita di ciascuno di noi.
OGNUNO DEVE FARE QUALCOSA
L’Agenda 2030 dell’ONU lanciata cinque anni fa si pone 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile globale. Tra gli obiettivi ci sono la sconfitta della povertà sul pianeta, la riduzione delle differenze sociali, il rispetto dei diritti umani e la lotta ai cambiamenti climatici. Questi obiettivi non sono dei principi astratti ma possono essere calati nella vita quotidiana di ciascuno di noi con comportamenti consapevoli e responsabili. Quindi non dobbiamo attendere che siano gli altri a fare quello che ognuno di noi può fare. Comportamenti diffusi sono in grado di generare grandi cambiamenti.
In questo contesto svolgono un ruolo centrale i movimenti di cittadini, le associazioni che nascono per raggiungere un obiettivo comune: dalla conservazione dell’ambiente ad azioni per fermare il consumo indiscriminato di suolo, fino a sostenere politiche ambientali che abbiano come fine il benessere delle comunità e non semplicemente il profitto economico.
LA POLITICA LOCALE LATITA
Un responsabilità particolare spetta alla politica, cioè a coloro a cui attraverso il voto democratico abbiamo delegato il compito di guidare le comunità nazionali, regionali e locali. In questo ambito però le reazioni sono troppo lente e spesso poco incisive.
Le nostre piccole città sono invase dal traffico di auto. Manca una politica lungimirante del trasporto pubblico che possa sostituire l’utilizzo di mezzi privati. Si tratta di ripensare dei modelli di organizzazione sociale, di cambiare delle abitudini. Processi come questi richiedono decenni per entrare a regime, mentre la nostra politica è abituata a ragionare per mandati elettorali finalizzata alla ricerca di voti e consenso o poco più .
A proposito di infrastrutture, da 30 anni è aperto il dibattito sulla ferrovia dismessa Fano-Urbino. Altrettanti anni sono stati persi a discutere se trasformarla in pista ciclabile quando è risaputo che una delle forme di trasporto più eco-sostenibili è rappresentata dal treno. Ma ripristinarla costerebbe troppo, dicono alcuni “sapienti” che deridono e danno dell’incompetente e sognatore a chi la pensa diversamente.
Una scelta coraggiosa quella del ripristino che si sta giocando al ribasso con la versione del trenino turistico (visto come una scelta obbligata per evitare uno smantellamento dell’infrastruttura). Ma il treno da solo non basta, occorre avere mezzi pubblici disponibili (non una o due corse al giorno) se vogliamo educare i cittadini all’uso del mezzo pubblico.
Le piste ciclabili? Sono necessarie! Tutte le infrastrutture che evitano l’uso dei mezzi privati sono necessarie. Ma è inutile e dannoso innescare battaglie come quella a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni. Il risultato: un nulla di fatto!
Il ruolo delle Multiservizi che si occupano della gestione dei rifiuti le cui entrate sono rappresentante dalle bollette pagate da tutti i cittadini. Anche qui assistiamo a dei fenomeni di privatizzazione per cui gli utili, anziché venire reinvestiti a beneficio della comunità, vengono destinate ai dividendi dei soci.
Le risorse potrebbero essere destinare a migliorare le reti idriche. Tra gli obiettivi fissati dall’ONU, il “goal 6” parla di acqua pulita e servizi igienico sanitari per tutti. L’Italia ha pagato multe salate all’Europa per non essere ancora in regola con la gestione delle acque reflue, in pratica molte fogne scaricano ancora direttamente in mare. O ancora, pensiamo agli investimenti che le Aziende Multiservizi dovrebbero potenziare per ridurre gli sprechi d’acqua delle nostre reti idriche colabrodo. Considerando che l’acqua non è un bene infinito!
Il dibattito in corso sul biodigestore ha ormai assunto toni ridicoli. Non perché non sia una struttura necessaria, quanto invece per il metodo: di nuovo il profitto è il primo obiettivo da raggiungere. Occorre realizzare un impianto sovradimensionato, importando rifiuti anche da fuori territorio, pur di generare profitto. Perché non pensare ad impianti che tengano conto delle necessità delle comunità locali? La politica deve governare questi processi, non può subirli o, peggio, rischiare di apparire connivente con certe logiche o “poteri”.
Ogni Comune ha poi il compito di gestire questa transizione ma occorre che i nostri amministratori siano mentalmente “deformati” e non si fermino ad operazioni di facciata. Il tempo è da tempo scaduto! E la responsabilità sarà di chi in quel momento c’era, ovvero noi, politici e cittadini compresi.