LUCREZIA – Dieci anni fa, nel numero 14 di luglio 2013 del Giornale del Metauro, pubblicavamo un intervento di Marco Manoni che ricostruiva l’interessante esperienza teatrale maturata nella parrocchia di Lucrezia a partire dagli anni ’70 con la figura dell’allora parroco don Giuliano Bonazelli. La parrocchia si era dotata di una importante struttura: il cinema teatro “Uno più”. Qualche anno fa l’edificio, ormai fatiscente, è stato abbattuto per lasciare il posto al nuovo centro parrocchiale “La Fenice” inaugurato ufficialmente qualche settimana fa.
Siamo agli inizi degli anni ’70 anche a Lucrezia succedeva qualcosa di nuovo. Qualche anno prima nel 1967 era arrivato il nuovo parroco, don Giuliano Bonazelli, che aveva sostituito il precedente, don Ettore Carboni. Era un prete giovane pieno di progetti e si mise al lavoro con il rifacimento dei locali parrocchiali, la ristrutturazione della chiesa ed il sogno di realizzare un edificio da adibire a cinema. L’idea era quella di proiettare film adatti ai giovani che non oltrepassassero la soglia imposta dalla dottrina della Chiesa, occorre ricordare che si veniva dal periodo sessantottino.
Il progetto del parroco su quella struttura era di impegnare tanti giovani per trasmettere una rinnovata fede alla gente della nostra parrocchia, dettata dal Concilio Vaticano II. Dopo i locali e la chiesa, il sogno si avverò grazie all’intervento della curia fanese: prese forma il progetto per la realizzazione di un cinema-teatro che venne chiamato “Cinema Teatro Uno Più”.
Era il 1974. Si trattava di una struttura moderna. Tanti giovani della parrocchia si adoperarono per metterlo in funzione chi stava alla biglietteria, chi faceva il portiere, chi alla macchina di proiezione, chi vigilava in galleria e platea: fu davvero un avvio promettente. Passarono gli anni e, ad un certo punto, gli spettatori giovani, lentamente cominciarono a disertare il cinema, così che il cinema dovette chiudere.
Don Giuliano non si arrese e pensò di destinare i circa seicento posti a sedere alle celebrazioni delle feste religiose più importanti ed in mente aveva l’organizzazione di una compagnia dialettale per allestire nel teatro rappresentazioni sacre e commedie dialettali e, direi, che riuscì nell’intento. Due furono i giovani che lo affiancarono: Livio Rosati che ricavò dai testi evangelici rappresentazioni religiose come “Paolo di Tarso” con tanto di costumi e scenografie del tempo.
L’altro giovane era Gabriele Vampa, il quale scriveva testi, spesso dialettali, basandosi su storie realmente accadute nel nostro territorio.
Una commedia ebbe come soggetto il fatto realmente accaduto dello straripamento del fosso Rio Secco, quando l’acqua invase gli scantinati lungo via Flaminia. Naturalmente Gabriele calcò la mano tanto che ci scapparono anche due morti annegati, scese poi nell’esoterico raccontando l’impatto dei due morti con l’aldilà, organizzando anche un incontro con il nostro patrono S. Apollinare. Don Giuliano era il regista, Mauro Giampaoli lo scenografo, Marinelli era addetto alle luci, Aurelio Cecchini il suggeritore e diversi giovani erano incaricati del cambio scena.
Di quella variegata compagnia, a cui venne dato il nome di GITIELLE Gruppo Teatrale Lucrezia, anche io ne facevo parte e proprio nella commedia dell’alluvione, rappresentai proprio
Sant’Apollinare, rendendolo balbuziente e con un strano “tic” lo dissacrai un po’, ma la gente si divertì tanto e quella parte segnò il mio ingresso in pianta stabile in quel gruppo di attori.
Ricordo le belle serate durante le prove allietate dalle divertenti battute di Stefano Venturi, la voce profonda e roca di Ghino, il richiamo del regista che, con voce stridula riprendeva, la sorella Redenta che andava fuori testo ed il gruppo di osservatori, seduti in prima fila, che davano consigli agli attori. Eravamo noi a portare le locandine nei paesi limitrofi, da Fano a Fossombrone, le commedie iniziarono ad avere un tale successo tanto che dovemmo fare anche diverse repliche per ogni spettacolo.
Grazie all’aiuto dei diversi viceparroci che si succedettero nel tempo, ne ricordo alcuni don Giuseppe Monaco, don Marco Mascarucci, don Piergiorgio Sanchioni, riuscimmo ad affinare la tecnica di recitazione. I nostri personaggi in realtà piacevano perché erano realmente esistiti, erano compaesani, e gran parte degli spettatori li conosceva.
L’eco del nostro successo arrivò fino al teatro sperimentale di Pesaro per questo fummo invitati a partecipare ad una rassegna provinciale di commedie dialettali. L’attività teatrale proseguì per tanti anni.
Quando poi don Giuliano creò la Giostra dei Quartieri, la chiusura della manifestazione veniva allietata da tante piccole commedie realizzate dai singoli quartieri, tradizione che è continuata per tanti anni. Quegli anni, gli anni ’70, furono per noi una bella stagione, la parrocchia era un punto di riferimento importante, grazie al parroco che ci fece vivere e sognare in un contesto sereno e divertente.